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L'intervento di S.E. Mons. Antonio Napolioni, Vescovo di Cremona, delegato CEL per la pastorale familiare nell’Assemblea dei soci FeLCeAF del 13 febbraio 2024

Un saluto a tutti voi, ai nuovi e ai rinnovati Presidenti, auspicando che ci sia sempre più consonanza e fiducia per sostenere la fatica del convergere. Il Vescovo delegato per la pastorale della famiglia non ha né ricette né pretese; la vostra presenza fedele e attiva nel territorio è per i Vescovi il radar da ascoltare. Vi porto l'affetto e la stima dei vostri vescovi. Vi porto un messaggio di speranza, che viene dalla comunione tra i Vescovi Lombardi  con il Papa, che abbiamo sperimentato anche recentemente nella visita ad limina. Anche noi abbiamo fatto assemblea. E’ Dio che vuole un’Assemblea, vuole che questo popolo si raduni, ha bisogno che questo popolo si parli, si ascolti. È bello che ci siano tante occasioni di ascolto. Si dice con una battuta che “la Chiesa sta in piedi a forza di sedute”, ma il Papa ci incoraggia a essere un popolo in cammino, sulle strade. Credo che voi siate molto sulle strade, dalle strade e dalle case la vita vi viene incontro, la accogliete, la accompagnate e ci aiutate ad essere una Chiesa sulle strade. Per i Vescovi lombardi siete anche un modello metodologico di integrazione degli approcci, perché con l’ispirazione cristiana siete sul crinale della realtà delle famiglie, delle età, della vita, delle sfide più diverse. Abbiamo bisogno di consultarvi di più anche noi. Quindi non solo voi siete un consultorio per chi ha bisogno, ma siete un consultorio anche per la Comunità ecclesiale.

Le prime domande che io rilancio per un confronto sono: quale famiglia? Quali pezzi di famiglia stiamo raccogliendo? L'enfasi della Chiesa nei confronti della famiglia non è idealistica, non è moralistica, ma è portatrice di speranza dentro la realtà, spesso fatta di famiglie a pezzi, di famiglie che anagraficamente non sono quelle a cui eravamo abituati, come testimoniano le cascine vuote, i condomini che cambiano destinazione, le tante  case abitate da una persona sola  o da un solo genitore con un figlio, o da due anziani. Quando diciamo famiglia dobbiamo dunque prepararci ad incontrare queste situazioni che non vanno  catalogate, etichettate,  ma accolte, comprese e prese in carico.

La seconda domanda è: quale comunità se ne prende carico? Il Cardinale Tettamanzi, allora segretario della Cei, già negli anni ‘90 scriveva che dovevamo” rifare con il Vangelo della carità il tessuto delle comunità”, sfilacciato già allora, bisognoso di essere curato dalla carità evangelica. Solo chi si espone, chi osa sul crinale delle povertà di questa società può aiutare una comunità a ritrovare se stessa, una comunità solidale, una comunità che si prende cura. In una comunità anche ecclesiale il tema della solidarietà chiama in causa una serie di questioni, anche politiche ed economiche, che non sta a me sottolineare, ma che giustamente vi vedono attenti e impegnati. Da Vescovo vi dico che c'è una fonte spirituale a cui attingere, lo Spirito dato per incarnarsi, per generare esperienze. Non parlerei tanto di valori cristiani, ma parlerei di esperienze cristiane, di gesti cristiani, di prassi evangelica, di percorsi illuminati dall'esperienza di fede, quindi dalla presenza stessa di Gesù e del suo spirito. Tutto questo genera uno stile. Il Papa ce l'ha riconsegnato con chiarezza nell'Amoris Laetitia otto anni fa. La Consulta regionale di pastorale familiare ci ha dedicato due anni di lavoro molto intensi, di approfondimento e di interpretazione. Ne è scaturito un  libretto, umile ma saggio perché cerca e trova in Amoris Laetitia non delle ricette, ma una bussola per orientare il cammino, da cui traggo alcune delle parole chiave di cui don Edoardo Algeri è stato certamente  stato sostenitore e “araldo” influenzando positivamente anche la pastorale delle comunità:

- primo: rivolgere lo sguardo sul vissuto delle famiglie imparando da Gesù;

- secondo: entrare in relazione, camminare insieme;

- terzo: sviluppare una pastorale di contatto e contagio del Vangelo;

- quarto: realizzare collaborazioni, a livello personale e sociale;

- quinto: per avviare processi generativi e formativi nella logica di Gesù;

- sesto: per essere la chiesa di Gesù, una comunità di famiglie.

Queste parole sono il vostro e il nostro linguaggio, del Consultorio e della pastorale familiare, diocesana e delle parrocchie, che devono davvero riconoscersi in un'alleanza potente per il rinnovamento della Chiesa e per il servizio consultoriale. Queste due categorie, rinnovamento della Chiesa e servizio all’uomo, l’antico binomio di evangelizzazione e promozione umana di cui siamo tanto debitori a Paolo IV, diventa anche il binomio che oggi Papa Francesco continuamente ci propone, dichiarando espressamente di essere figlio dell'Evangelii Nuntiandi, come ci ha ripetuto anche la settimana scorsa nel nostro incontro a Roma: vicinanza, compassione, tenerezza. 

Nella Chiesa che si fa “ospedale da campo” i Consultori ci aiutano a cogliere che esiste una professionalità della vicinanza, della compassione e della tenerezza. Qui nasce una grande domanda: quanto questa vocazione professionale oggi è promossa, incentivata, sostenuta, perché vedo e temo che i giovani, pur non generalizzando, prediligono magari dedicarsi alla creatività artistica, all'approccio scientifico, alla ricerca, all'ingegneria. Le facoltà formative delle professionalità di cura e educative mi sembrano molto bisognose di un rilancio, anche perché la cura della persona è molto più compromettente sul piano delle responsabilità che non altre professionalità. La società rischia di fare un grande autogol nel momento in cui non aiuta a non sostiene questi processi formativi.

A che punto siamo in questa visione di Chiesa che si incarna a fianco delle famiglie e delle persone più in difficoltà, quali sono le solitudini che anche voi sperimentate e che vanno affrontate e superate? Quali sono le priorità? Ne segnalo un paio perché possano essere un terreno di incontro fecondo: la tutela minori delle persone vulnerabili, categoria questa che va esplicitata. Questa è tra le consegne che abbiamo ricevuto a Roma dalla Commissione Pontificia e che è stata presa molto sul serio: essere all'avanguardia in Lombardia, anche nel coinvolgere tutta la società nella lotta all'abuso in tutte le sue forme. Stiamo facendo e faremo ancora di più per prevenire, per perseguire ciò che va perseguito, e che non è affatto sottovalutato. La seconda: le violenze domestiche che portano agli esiti drammatici in cui la cronaca ci rende purtroppo spettatori abituali.

Mi fermo qui, vi ho espresso dei sentimenti, vi ho espresso delle priorità, vorrei sentire anche la vostra esperienza, tutto quello che, anche attraverso i vescovi, volete che arrivi alla Comunità ecclesiale perché valorizzi il vostro servizio, il vostro operato.

 

Al termine degli interventi Mons. Napolioni riprende alcuni temi emersi.

 

Sono emerse alcune risonanze alle quali non offro risposte ma che riprendo. Sul rapporto tra Comunità cristiana e Consultori vedo che più le parrocchie sono forti meno c’è un legame tra parrocchia e consultorio. Più il territorio è piccolo, a dimensione familiare, più c'è quasi una identificazione tra parrocchia e consultorio. Questo non significa che piccolo è bello, e non possiamo pensare di fare il consultorio a dimensione parrocchiale, ma che sono le trasformazioni in atto che devono far aprire gli occhi su una realtà che è cambiata. Perché la comunicazione possa funzionare bisogna che ci siano delle persone che hanno intenzione di costruirla, al di là di tutti gli strumenti oggi disponibili.

Non vi racconto qual è il “tempo” in cui ci è toccato in sorte vivere. Siete contenti di vivere in questo tempo? Un tempo che ci chiede saggezza per i cambiamenti vorticosi e accelerati, un tempo di complessità ma non meno abitato dallo Spirito Santo e da uomini e donne che cercano un briciolo di felicità, un briciolo di vita in più. Queste coordinate spirituali e umane di fondo non dobbiamo mai smarrirle. C'è bisogno di fermarsi a riflettere. Il verbo riflettere è molto significativo: per Paolo VI, ma anche per altri Padri, la Chiesa è come la luna, vive di luce riflessa. Anche la realtà è illuminata dall’unico sole che è la presenza di Cristo, figlio di Dio, l'amore di Dio. La realtà è un gioco di riflessi, un gioco di rimandi per cui non c'è mai una distinzione assoluta tra soggetto e oggetto, tra attivo e passivo, noi e loro. Chi fa il vostro servizio riceve e dà, dentro una realtà abitata dalla parola, dal logos che si sta facendo carne, che genera progetti, genera percorsi. Che devono saper superare il livello dell’informazione per diventare comunicazione, quella vera che si fa attraverso la narrazione (cfr.  l’esperienza del prodotto digitale  “Riflessi magazine” della Diocesi di Cremona).       

La realtà è fatta anche da una fioritura di volontariato che il Papa ammira nella Chiesa italiana, il volontariato che la vostra esperienza di servizio integra con la professionalità, nello stile della comunità cristiana che si espone a fondo perduto dentro la realtà, con una ispirazione che non fa da termometro per misurare il grado di accessibilità della persona ai nostri servizi. Il tema dell'ispirazione cristiana dentro questo gioco di riflessi e di rimandi tra realtà e parola chiama in causa la formazione.

Più siamo sapienti, lungimiranti, ispirati, abitati dal Signore, più siamo capaci di mettere in atto dei processi di carità. In questo però veniamo anche da linguaggi che vanno purificati. L'opposizione tra spiritualismo e psicologismo va superata con equilibrio, in una duplice fedeltà. Non si tratta di accontentare Dio e poi prenderci la parte umana. C'è un bene dell'uomo che viene da Dio e genera una spiritualità. Incarnandosi in una frontiera che va sempre cercata e coltivata, perché è il vero punto di incontro anche con la comunità cristiana. Voi non siete uno dei problemi della comunità cristiana, voi siete una delle risorse della comunità cristiana. Certo, bisogna dirlo anche al parroco che fa fatica a far quadrare il bilancio quando vede le cubature o i metri quadri che potrebbe affittare.

Il Cammino sinodale si sta giocando in questo momento nella fase sapienziale delle cinque schede. La quinta è quella sulle strutture. Dobbiamo prendere atto che c'è qualcosa che non va anche nelle strutture, che c'è da fare una cura dimagrante. Ma farla in spirito di comunione e ristabilendo le priorità. Questo discernimento sarà figlio delle prime quattro schede del cammino sinodale: la missione, la formazione, il linguaggio, la corresponsabilità. Siamo dentro una fatica collettiva, in cui è essenziale il clima di fiducia. E voi siete un cantiere di questa fiducia, di questa collaborazione tra laici e sacerdoti molto importante.

 

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